Labirinti inesplorati

Sergio Zanichelli
Saggista e critico d’arte moderna e contemporanea, Architetto e professore a contratto dell’Universita' di Ferrara – Facolta''88 di Architettura

Arrivare ad una espressione libera :questa frase di De Sta sembra essere rappresentativa del pensiero artistico di Conte.

La ricerca di una libertà nell'arte pittorica lo accompagna ad invadere i campi dello storicismo astratto attraverso una personale definizione di un linguaggio che coniuga il gesto con l'equilibrio cromatico delle forme.

Achille Bonito Oliva ci ricorda che, nell'action painting il rituale del gesto serve ad esorcizzare la realtà e a risalire all'origine organica e dinamica della vita.

Il gesto nell'arte, quindi, come superamento dell'esistente con tutte le sue implicazioni, fino a spingersi nelle zone dell'inconscio e della psiche fra i pensieri propri di ogni artista, non trasferibile ad una visione sociale e globale.

Guttuso nel suo libro "Il mestiere del pittore"ci parla di un'ansia disperata di realtà in artisti quali Pollock, Wols e Gosky, e cerca di trasformare il termine astrazione da immateriale e antireale a un contestualismo di maniera.

In verità, l'arte astratta è nella sua definizione una ricerca di una linea di pensiero per il superamento di una condizione oggettiva, neutrale, dialettica.

È con questo spirito di azzeramento del campo, del rifiuto dell'immagine e del racconto che Conte ci offre una sequenza di opere pittoriche nel ciclo delle vibrazioni e passioni riflesse come rappresentazione e riflesso di queste tematiche.

La superficie della tela non è per lui il luogo dell'evento pittorico, un punto limite che raccoglie la fine di un pensiero.

La pittura diventa l'inizio di un'evoluzione linguistica come atto di una specifica comunicazione.

Per Conte, la possibilità di estensione spaziale del pensiero sul piano orizzontale del supporto, viene espressa mediante il contrasto tra la monocromia del fondo: piani ricoperti con predominanze di colori bianchi, neri, grigi, gialli e azzurri e la sovrastante invasione di oggetti di colore che riportano l'opera ad uno strato di prospettiva sospesa e di uno spazio senza limiti.

Parlo di azione più che di un concetto, di gesto più che di apparati visivi, anche se questa apparente distanza in realtà è per Conte il modo di rapportarsi con il mondo esterno.

Quindi un'astrazione che è espressione non solo di una apparente inquietudine, ma di una possibilità che il segno adottato riesca a risvegliare l'interesse di ognuno di noi di fronte alla visione delle sue opere.

Come Kandinsky che definiva il principio della necessità interiore, così l'arte di Conte diventa espressione di una specifica personalità, di una memoria storica e di situazioni attuali: la solitudine, la violenza dell'uomo sull'ambiente, il mondo del lavoro e il rapporto tra pittura e musica costituiscono i principali temi di indagine del suo lavoro.

L'arte pittorica diventa in Conte costitutiva dell'essere umano, una sorta di codice genetico

che ci accompagna per tutto il cammino della nostra esistenza.

Conte gestisce una importante discoteca, e questa simbiosi tra lavoro e passione per l'arte pittorica lo porta ad esprimersi con un linguaggio simbolista che vede l'applicazione sull'opera di elementi quali dischi, chiodi, guanti; il tutto con un forte contrasto tra la monocromia del campo (aspetto silente) e l'ipercromatismo materico della parte sovrastante (aspetto sonoro).

Delaunay ci parla dell'uso dei colori come un'espressione musicale costituita da frasi colorate e fugate; con queste invadenze cromatiche e formali, Conte ci riporta ad uno stretto legame con la composizione musicale, in particolare con diretti riferimenti alla musica jazz, nella quale i cambi di ritmo e l'infinita trasmigrazione di linguaggi musicali ne sono i codici costitutivi.

A questi contrasti Conte sembra portarci in ogni sua opera, come nel ciclo a che punto siamo con il fiume?, o nell’evocazione di matrici pittoriche "Legeriane", nelle quali la ricerca dell'intensità plastica si ha applicando la legge dei contrasti come mezzo di equivalenza delle vita.

Quindi le macchie, i segni e tutto il forte apparato cromatico presente nelle sue opere sono un modo simbolico di interpretazione di un esclusivo alfabeto della pittura come riflesso dei desideri e delle speranze nascoste dentro il suo animo.

La pittura quindi diventa un'espressione personale per comunicare con l'esterno attraverso gesti e sovrapposizioni di materia cromatica con oggetti del quotidiano (o della memoria), sconfinando in un linguaggio post-dadaista e post-neorealista.

È, forse, la possibilità di rottura di un ritmo ipotetico, come nella pittura di Capogrossi, o di una regolarità che esiste solo nella realtà.

Ritrovo inoltre anche un diretto riferimento alle tecniche del collage di Kurt Schwitters nelle quali l'oggetto perde la propria funzione per essere riportato a vivere una nuova vita.

Nelle ultime opere del ciclo pittorico delle 'vibrazioni e passioni riflesse', Conte porta alla conoscenza ancora più diretta di un suo mondo interiore, cercando un dialogo con una società sempre più virtuale nella quale sembra perdersi la possibilità di un futuro migliore.

È un forte appello trascritto in pittura attraverso un linguaggio espressivo più lirico e con tenui e più equilibrati cromatismi materici. Una pittura libera che rifiuta forme contestuali e attraverso la dicotomia tra realtà e astrazione si esprime con una specifica autonomia di linguaggio.

Una libertà inerte come ci ricorda Pierre Restany è sinonimo di ambizione e l'ambizione di Conte è quella di ascoltare i bisogni e le speranze dell'uomo contemporaneo per tradurli in arte della pittura. Si tratta quindi di un uso di cromie più delicate, quasi ad evocare un'infanzia nella quale i valori della vita erano costitutivi e fondamento di un futuro di speranze.

In verità questa fiducia del futuro viene negata immediatamente attraverso la presenza di grovigli di segni e linee di colore nero che invadono l'equilibrio armonico della composizione per essere, forse, testimonianza di un'anima sofferente che non si ritrova in questa società mass-mediatica.

Potrei definirla pittura di comportamento, non un progetto precostituito ma una sorta di equilibrio espressivo derivato da una profonda trasposizione di pensieri in forma pittorica.

Questo suo percorso sembra abbracciare la grande tradizione della scuola informale europea, dalla segnica di Fautier e di Hartung degli anni '30, alle intensità cromatiche di Wols della fine degli anni '40, alla gestualità zen e calligrafica di Mathieu, al misticismo tribale di Martin e al conflittualismo sociale dei Plurimi di Vedova.

Così come per gli astrattisti era doveroso dimenticare l'orrore prodotto dagli eventi postbellici, per Conte lo è il superamento di un sistema che tende ad isolare ed escludere l'individuo dalle necessarie relazioni sociali.

La sua risposta è la pittura come antidoto alle 'passioni tristi', così come le definisce il saggista Giacomo Marramao, che stiamo subendo in questa fase della nostra vita.

Si puo' considerare un possibile manifesto della speranza che riprende per certi versi quello spazialista di Fontana del '51 nel quale: il necessario cambio nell'essenza e nella forma per una nuova arte basata su questa visione.

Una pittura gestuale, di movimento nella quale i colori e il suono sono i fenomeni in cui si sviluppa il lavoro di Conte, che ci riporta in un possibile viaggio dentro al quale i valori fondativi della vita diventano i capisaldi su cui costruire il nostro futuro.

Conte

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