Giulio Renzo Bighin scrive su Arte Mondadori
GIULIO RENZO BIGHIN
La revulsività del segno pittorico gestuale di CONTE, la sua "attimalità" tensio-energetica, intesa a rappresentare con reviviscenza cromatica emozioni e concetti, s'oppone di certo alla conformità.
CONTE travolge nella sua pittura il penso sono cartesiano nella sua dictomia per ristabilire la corretta triade: penso-sento-sono.
L'istinto e la passione precede il pensiero e la certezza dell'esserci in un atto di liberazione che è scatenamento di forze vitali ed interiori.
La sua pittura è un urlo che va al centro dell'essere e fa deflagrare ciò che era nascosto nei meandri della psiche e dell'inconscio, come è proprio dell'espressionismo astratto.
Perdura in CONTE la fase omnipotente del segno infantile conservata come sorgivo tesoro.
Se conoscere 'in primis' vuol dire astrarre cioè 'ex-traere', allora quello di CONTE è, e si badi, non facile messaggio, che dal di dentro si estrinseca verso possibili interlocutori.
Pittura che oltre al messaggio della volontà comunicativa dunque rimane sempre sogno cromatico presente, uscita del sè dal sè, ad assumere, per questa via, il significato d'una vertenza, d'un additare una via eletta oggi in cui sono praticate soprattutto le periferie del nulla.
Novembre 2008