Luigi Colombi, in arte Conte Pittore

Aldo Maria Pero

Lo storico Eric J. Hobsbawn ha scritto un libro dedicato a Il secolo breve nel quale insinua addirittura l'idea che sia esistito un secolo brevissimo, l'età' post-nucleare, quella iniziata con le bombe di Hiroshima e di Nagasaki.

Un'epoca che, nata dalle due tragiche esplosioni atomiche di cui fu vittima il Giappone nel 1945, sembra aver dato avvio a fenomeni spesso aberranti e comunque su scala gigantesca. Uno di tali aspetti è l'egocentrismo dal quale è afflitto l'uomo contemporaneo, un culto dell'ego che trascurando vocazione e dottrina sembra autorizzare tutti a cimentarsi in qualsiasi impresa senza conoscerne nè regole nè implicazioni.

Infatti trionfa la frase d'uso del "mettersi in gioco": quale gioco e come?

Simile atteggiamento è particolarmente frequente fra coloro che si iscrivono nelle liste elettorali. Loro giocano, e ci fa piacere, ma i cittadini che invece di giocare lavorano in quali prospettive devono sperare?

Domande senza risposta, anzi da non fare.

Tutti si sentono poeti, pittori, storici e critici. Salvo lodevoli e non del tutto rare occasioni, si tratta di poeti afflitti da gravi problemi ortografici grammaticali e sintattici; di pittori senza vocazione; di storici incapaci di analisi e di sintesi; e di critici che, oltre a condividere le stesse dillances dei poeti, creano con somma disinvoltura avventurose prospettive lessicali che li inducono ad affastellare frasi prive di senso e a parlare solo ed esclusivamente chi di "emozioni" e chi di "cromatismi".

Detto che i pittori avvertono e provocano emozioni o che usano colori per dipingere, ritengono risolto il loro compito.

C'è anche chi ha brillantemente affermato che i quadri si guardano senza guardarli. Tale dilettantismo è del tutto giustificato nei poeti e nei pittori, che si mettono onestamente in vetrina per essere giudicati; mentre i critici pretendono di giudicare. Non è la stessa cosa.

Fortunatamente esistono pittori intelligenti che sono in grado di spiegare il proprio lavoro e le intenzioni che lo sorreggono assai meglio dei critici.

Del resto Guillaume Apollinaire, che di pittura era un esperto, ha più volte affermato che i pittori non vanno solo guardati ma anche ascoltati.

Uno di questi è Conte, il quale ha scritto molto opportunamente che il punto centrale del proprio lavoro consiste nella dialettica tra moti interiori dell'animo e suggestioni esterne. A suo avviso l'artista è colui che sa reagire ai molteplici e frammentari impulsi esistenziali per conferire loro la logica del pensiero o per opporvi una reazione di carattere sentimentale.

Esistono quindi in lui una pittura della ragione ed una pittura dell'anima.

È anche facile distinguerle in quanto la prima simboleggia la capacita' di raziocinio nelle costante presenza della sequenze di perline, assenti nell'altra. Partendo da tali presupposti, Conte può legittimamente affermare che «dopo l'ironia dell'oggetto, dopo la messa in luce delle fitte contraddizioni della società e dell'individuo, la fedeltà alla pittura mi ha condotto ad un punto importante del personale percorso artistico.

Mi attengo alle immagini distorte che vivo nella quotidianità, soprattutto le più controverse, guardandomi bene di cercarne altre nella realtà esterna o altrove.

Spesso lo sdoppiamento della mia personalità incide in modo marcato nelle mie rappresentazioni pittoriche; a volte mi viene il sospetto di vivere un'altra grande avventura, fatta sempre di folli emozioni. [...]

La sensazione che provo a rinchiudermi in me stesso e a riaprirmi mi convince che un sottile equilibrio esiste tra le idee che esprimo con la pittura.

La continua ricerca di una via per suggellare e lasciare ai critici le emozioni, i desideri, i sogni, le tensioni, le passioni, sono oramai, un pensiero fisso della mia esistenza.

La consapevolezza di non essere, comunque, catalogato in correnti, manifesti, e periodi storici, fa di me un artista atipico».

Conte è effettivamente «un artista atipico», ma non nel senso che hanno finora indicato i suoi esegeti quanto piuttosto nel fatto che il suo modo di accostarsi alla tela è tipicamente rinascimentale, tanto è vero che in molti suoi quadri esiste un che di leonardesco nella minuziosa cura del particolare, nel serrato gioco di rimandi e nella cura estrema con la quale viene impaginato l'equilibrio di ogni rappresentazione.

Che poi essa sia informale è solo un dettaglio. è ormai concetto universalmente accettato che la differenza fondamentale che esiste tra la pittura antica e quella contemporanea sta nel fatto che nella prima era prevalente l'attenzione rivolta alla tecnica, mentre nell'arte odierna il criterio di valutazione consiste nell'originalità del dettato piuttosto nello stile impiegato per realizzarlo; ed è altrettanto di comune dominio la certezza che in passato dominavano il simbolo e l'immagine in luogo del pensiero. Insomma, arte d'immagini e arte di idee.

Questa la differenza sul piano storico. Si tratta però di una conclusione che, per quanto vera, risulta problematica, soprattutto insito ad alcuni criticabili atteggiamenti di fondo assunti da parte della critica.

Mentre il "secolo brevissimo" ha fatto rapidamente tramontare le grandi concezioni sulle quali la cultura europea aveva per secoli fondato un presupposto più o meno oggettivo per distinguere ciò ch'era bene da quanto era male, la critica d'arte, non quella ultima e banale che sa parlare solo di colori e di emozioni, invece di ampliare i propri orizzonti è diventata sempre più supponente ed assertiva sino ad accampare la pretesa di costituire il termine d'ultimo consiglio, sino a decidere del destino di correnti e di artisti.

Oggi i critici non hanno più questo potere anche perchè non propongono più ideologie e si limitano a prendere atto di quanto accade.

Può darsi che, a parte le esagerazioni di un tempo, quello dei Longhi e dei Valsecchi per intenderci, alla fine il loro defilarsi costituisca un aspetto negativo, se è vero che a stabilire quale artista sia a' la page o meno si erge a giudice unico il mercato, un mercato ondivago e talora bizzarro ma comunque preponderante.

Di fatto, come ha compreso Conte, è oggi per l'artista impossibile o quanto meno difficile proporsi in rapporto di continuità con la storia delle avanguardie del Novecento.

Forse, proprio lui che denuncia il problema, è uno dei pochi a poterselo permettere perchè nei suoi quadri, così formalmente curati, si avverte il peso e l'ansia di tensioni, di domande e di problemi tutt'altro che risolti ad onta del fatto che essi risalgono all'ultimo Cezanne, a Picasso, a quel terribile crogiuolo di drammi e di tentativi negati che fu il Cubismo.

Era la lotta tra il figurativismo e l'astrattismo, tra la realtà ed il pensiero della realtà, tra il diritto a rappresentarla e l'arbitrio di negarla.

Conte ha risolto il suo problema guardando la realtà e rappresentando il pensiero della realtà, ma i suoi esegeti non se ne sono finora accorti mancando di sottolineare l'aspetto fondamentale della grandezza che dobbiamo riconoscergli. Conte non pretende di esprimere ideologie: fa di meno e di più proponendosi quale titolare di un'arte che riflette su se stessa per arrivare a comprendere di non potersi considerare quale riproduttrice del mondo, ma come creatrice di una realtà nuova, capace di ridurre ad unum il mondo della tradizione e il nuovo modo di pensare (il termine pensiero domina nei suoi titoli) il mondo.

Se pretendere di trasferire sulla tela la quarta dimensione resta un'illusione, è fuor di dubbio che nel modo d'intendere la pittura da parte di Conte essa rivendica e conquista un'autonomia che non rappresenta un rifiuto della realtà ma, occorre ribadirlo, un mezzo inedito di indagarla e di costruirla, una maniera per estendere le modalità della conoscenza.

Si tratta di un impegno inesauribile illuminato dalla pluralità delle esperienze esistenziali di Conte, che dal suo laboratorio si rende testimone della modernità e delle sue istanze, che s'ingegna di gestire una vera mutazione antropologica, una sorta di tellurica metamorfosi che investe le forme per ricomporle entro i criteri di una logica intuitiva e non più rappresentativa, anche se gli elementi restano gli stessi.

Nulla si crea e nulla si distrugge, recita il fondamentale principio della chimica; e infatti Conte si limita a trasferire su piani diversi il medesimo materiale.

Cambia però l'uomo e il suo rapporto con il mondo allorchè si rende conto che il senso ultimo dell'operazione consiste nel dimostrare la superiorità dello spirito sulla materia: il paesaggio rappresentato in termini naturalistici è già cambiato prima che l'artista apponga la sua firma in fondo alla tela, mentre il paesaggio astratto, metafisico se così lo si vuol definire, in quanto rappresentazione dello spirito resta uguale per sempre.

Ecco il significato più alto dell'opera di Conte, dipingere in assenza del tempo, che forse significa proprio inventare la quarta dimensione.

Quell'opera nella quale abbiamo individuato una sostanziale matrice leonardesca conferisce un particolare significato alla nostra analisi ove si consideri che la mano antica era dotata di straordinarie doti artigianali, mentre quella di oggi è una mano che pensa ed è capace di trasformare con moto consapevole la bellezza, l'intelligenza e la libertà.

In questo senso Conte è anche un grande artigiano.

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